Trovare Se Stessi Grazie allo Yoga

Nella Bhagavad Gita, probabilmente il testo più importante della tradizione induista, il dio Krishna dice ad Arjuna, valoroso guerriero in preda ai dubbi:

Arjuna, il vero problema è che tu non sai chi sei.

Ancora oggi, il nostro principale problema è questo: non sappiamo chi siamo. È come, scrive Stephen Cope nel suo libro «Yoga and the quest for the true self», se camminassimo in una stanza buia. Tentiamo di muoverci e di vivere come se niente fosse ma non facciamo che sbattere contro qualcuno o qualcosa. Ogni volta ci facciamo male o facciamo male a qualcun altro. Ci sentiamo frustrati, insoddisfatti, sofferenti. Ci chiediamo cosa ci sia di sbagliato in noi. In realtà non c’è niente di sbagliato e, se solo accendessimo la luce, vedremmo tutto ciò che ci circonda e sapremmo esattamente come muoverci senza fare danni.

Ma dov’è l’interruttore? Inutile cercarlo in capo al mondo: non servono pellegrinaggi in India o scalate dell’Himalaya: l’interruttore è dentro di noi e si aziona grazie alla consapevolezza. Ma consapevolezza di cosa?

Non sei il tuo corpo

Il corpo è un veicolo, un involucro, un mezzo di trasporto. Proprio come un’automobile, va curato e tenuto sotto controllo. Se non accendi la tua auto per troppo tempo, la batteria si scaricherà. Se non riempi il serbatoio ad un certo punto non potrai più andare avanti. Se non tieni pulito il parabrezza, non vedrai dove stai andando. L’hatha yoga (ovvero la parte di questa disciplina che riguarda le asana) mira a mantenere il corpo in perfetta forma e armonia, non per avere un corpo in perfetta forma e armonia, ma perché questo sia efficace ed efficiente, e non ci intralci in quello che è il nostro cammino, la nostra vera missione.

Se ti identifichi con il corpo, se ne fai il tuo vanto, il tuo obiettivo, la tua priorità, rimarrai sempre in mezzo ad una strada. Al massimo in un garage. Potrai divertirti moltissimo ma la tua sarà un’esistenza molto terra-terra. Non solo: dovrai continuamente competere con tutte le auto più belle, più nuove, più avanzate tecnologicamente… non avrai mai pace.

Se impari a prenderti cura del tuo corpo come ci si prende cura di un semplice mezzo di trasporto potrai anche staccarti da esso e andare a passeggiare, a correre, a nuotare… potrai saltare, lanciarti con il paracadute e fare mille altre esperienze.

Quando, alla fine, verrà il momento di lasciare la vecchia carcassa, non avrai paura: saprai che quel corpo non sei tu e potrai aprirti a quella che è semplicemente una nuova esperienza.

L’arte di morire

Il mio maestro diceva sempre che lo yoga è «l’arte di imparare a morire». Per quanto non sia questa – secondo me – la migliore definizione della disciplina che oggi insegno, dopo tanti anni capisco il senso di quelle parole. La pratica ti permette di vedere il corpo come un accessorio e ti prepara indirettamente al giorno in cui dovrai lasciarlo.

Non a caso i periodi di transizione fisica sono spesso tra i più difficili da “digerire”. Pensa all’adolescenza, quando il corpo muta profondamente. Pensa alla gravidanza, alla menopausa, alla vecchiaia… il corpo cambia e, se ci siamo sempre identificati con esso, ci ritroviamo sperduti. Dobbiamo nuovamente capire chi siamo, oppure ci affanniamo per mascherare il cambiamento, per continuare a riconoscere la nostra immagine riflessa nello specchio. Quella faccia così familiare è molto rassicurante, ma quella faccia non sei tu. E solo la maschera che indossi oggi.

Mi viene in mente il film “Miss Peregrine – La casa dei ragazzi speciali”, nel quale il ragazzo invisibile manifesta la sua presenza solo grazie agli abiti che indossa. Quando vuole essere libero, si spoglia. Ed ecco che si aprono a lui tante nuove possibilità: può entrare e uscire da una stanza senza essere visto, fare scherzi, eccetera. I vestiti servono agli altri per accorgersi di lui. Ma il vero Millard è quello senza vestiti. Qualsiasi cosa indossi, questo non cambierà ciò che lui è.

Trovare se stessi

Ma quando il ragazzo invisibile si spoglia… non si vede più niente! Nemmeno lui può vedere la sua immagine riflessa nello specchio. Come potrà conoscere se stesso? E come potranno conoscerlo (e riconoscerlo) gli altri?

Durante le mie lezioni di yoga spesso dico ai miei allievi: «Chiudete gli occhi e osservate il vostro corpo». A volte i nuovi arrivati riaprono gli occhi e ridono, o mi guardano con aria interrogativa. Devono chiudere gli occhi o devono osservare il loro corpo? Entrambe le cose. Ma come diceva de Saint-Exupéry, l’essenziale è invisibile agli occhi.

Bisogna osservare con tutto il proprio essere. Osservare il corpo, durante una lezione di yoga, significa esserne consapevoli. Con la pratica questa capacità di essere consapevoli, di osservare con gli occhi chiusi, diventerà sempre più naturale e sempre più facile da attuare. Ed è così che impareremo ad osservare noi stessi e gli altri. È così che impariamo a capire chi siamo, e chi sono le persone che ci circondano.

Quando ho incontrato il mio guru, mi ha detto «Non sei quello che credi di essere. Trova ciò che sei». Osserva l’«io sono». Trova il vero te stesso. Gli ho obbedito. Ho fatto come mi ha detto. Passavo tutto il tempo libero a osservarmi in silenzio. Il risultato è qui con me.

– Sri Nisargadatta Maharaj

Grazie alla semplice auto-osservazione, Sri Nisargadatta Maharaj raggiunse l’illuminazione nel giro di tre anni.

E tu? Hai capito chi sei? Sai scendere dall’auto e avventurarti nella vita a piedi scalzi? Sei capace di spogliarti di ciò che ti identifica e di diventare invisibile, per poterti osservare ad occhi chiusi?

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