Trovare il coraggio di separarsi

Nei mesi scorsi ho pubblicato un post nel quale annunciavo la separazione da mio marito, padre dei miei tre figli. Il post in questione è stato nelle bozze per quasi due mesi. A volte mi capita di scrivere cose che poi non pubblico perché, se scrivere è per me una necessità, prima di premere il pulsante “pubblica” mi interrogo sul fatto che il mio contenuto possa essere utile e interessante per chi legge.

Cosa importa alla gente se mi separo? Non molto, suppongo. Ma come continuare a raccontare la mia vita sorvolando questo particolare non trascurabile? E, visto che alla fine siamo riusciti a farlo in modo relativamente dolce, perché non dire a chi sta là fuori che è possibile? So per esperienza che molte persone vorrebbero mettere fine ad una relazione che le rende infelici ma non lo fanno perché temono la reazione del partner, o hanno paura di traumatizzare i figli.

Un trauma per i figli?

A sei mesi dalla nostra decisione, posso dire che i nostri figli stanno bene. Ovviamente al momento dell’annuncio hanno pianto, ma hanno digerito molto in fretta la notizia. Continuavo a ripetere che gli inevitabili momenti di crisi sarebbero arrivati in seguito ma ormai credo di poter dire che l’abbiamo scampata. Probabilmente sono io, in tutto questo, la persona che ha sofferto di più. Soprattutto perché ho sofferto per anticipazione. Ho sofferto prevedendo cose che poi non sono successe. Ho sofferto accettando una situazione che non mi stava bene per paura.

Di cosa hanno bisogno i nostri figli? Di equilibrio e di sicurezza. Ma come dico sempre a lezione di yoga, l’equilibrio è tutto fuorché statico. Prova a stare in piedi su una gamba sola. Noterai delle micro (o macro, dipende dai casi!) oscillazioni. I tuoi muscoli dovranno continuamente ri-allinearsi per permetterti di mantenere l’equilibrio. Lo stesso vale con la bicicletta. Stai in equilibrio finché ti muovi. Se smetti di pedalare, l’equilibrio è perduto. Tutto questo per dirti che l’equilibrio non è assenza di cambiamento ma capacità di adattarsi ai cambiamenti inevitabili nel corso di una vita. A questo proposito può essere interessante leggere la leggenda del salice.

Dal racconto della nostra separazione emerge una coppia matura e consapevole che ha affrontato il tutto con grande serenità. In molti mi hanno scritto per chiedermi consiglio su come fare quando la situazione non è così “ideale”. Probabilmente c’è stato un errore di comunicazione da parte mia. Non ho spiegato che la situazione descritta è stata il punto d’arrivo e che il punto di partenza è stato difficile per noi come lo è per tutti.

Parlarne con il partner

Io ne parlavo già da tempo ma lui non voleva sentire ragioni. Cresciuto con due genitori che sono stati insieme fino alla fine pur non rivolgendosi la parola, questo era il suo modello. Io che ho avuto una madre che ha avuto il coraggio di prendere in mano la propria vita, la vedevo diversamente. All’inizio, di fronte al suo atteggiamento di chiusura, mi sentivo in colpa e non facevo che piangere, assumendo involontariamente un atteggiamento da “vittima” che mi rendeva poco credibile al momento di effettuare qualsiasi negoziazione.

Ogni volta che affrontavamo il discorso, ne uscivo più scoraggiata. Lui invece cancellava tutto dalla sua mente e tornava all’idea del “va tutto bene”. Siamo andati avanti così per parecchio tempo. Mi sentivo terribilmente infelice e non sapevo come uscirne. È stata la formazione in ipnosi ad aiutarmi. Mi ci sono iscritta perché volevo uno strumento in più per aiutare gli altri, ma la prima a beneficiarne sono stata io. Prima ancora di iniziare la pratica vera e propria, abbiamo imparato ad accompagnare il consultante nella definizione dei propri obiettivi e nella riconquista della propria autostima.

Ovviamente siamo stati invitati testare il tutto su noi stessi e, improvvisamente, tutto è diventato più chiaro. Questo non significa che si debba imparare a praticare l’ipnosi per riuscire a raggiungere i propri obiettivi, né che quel che ha funzionato per me sia efficace per tutti. Uno sguardo nuovo sulla situazione, però, non può essere che benefico. E occuparsi delle proprie ferite in modo da non arrivare di fronte all’altro con l’atteggiamento di un cane bastonato è senz’altro un buon inizio. Potresti anche renderti conto che, con questa nuova consapevolezza, i problemi di coppia possono essere risolti senza arrivare alla rottura. In ogni caso mi sento di consigliare approcci come la psicoterapia o l’ipnoterapia per chi si trova intrappolato in una situazione dalla quale non riesce ad uscire.

Vincere la paura

Per quanto mi riguarda, ho capito che non stavo proteggendo i miei figli e mio marito da un dolore, ma stavo proteggendo me stessa. Dal mio ma soprattuto dal loro dolore, e ovviamente dal senso di colpa che ne sarebbe derivato. Dopo aver lavorato su me stessa sono stata capace di affrontare lui con un atteggiamento completamente diverso. Niente più pianti, scuse e suppliche ma proposte e soluzioni ai problemi e alle obiezioni che lui sollevava. Cambiando il mio modo di pormi ho costretto anche lui a cambiare “strategia” e, agendo da persona “matura” ho instaurato una comunicazione più efficace.

Non ho evitato la sofferenza al mio partner, a me stessa e nemmeno ai miei figli. Ma ho fatto capire loro che li amavo nonostante tutto, e che potevano continuare a contare su di me. Che le nostre relazioni sarebbero cambiate ma che nessuno avrebbe perso nessuno. La velocità con cui il mio (ex) marito ha accettato questa nuova “proposta” è stata una grande sorpresa sia per me che per lui. Il fatto è che quando si comunica ad un livello sbagliato (o attraverso transazioni incrociate) si gira in tondo e non si arriva a nulla. Quando una sola persona esce dal “ruolo” che ha interpretato fino a quel momento, tutti gli interlocutori sono obbligati ad uscire dal proprio e ad osservare la situazione da un altro punto di vista.

Insomma anche noi, come tutte le coppie che si separano, siamo passati attraverso momenti di tristezza, sconforto, pianti, liti, paure. La cosa più difficile per me, è stata l’idea della custodia congiunta. Mi pesa il fatto di non avere i miei figli sempre con me ma so che è esattamente lo stesso per il loro padre e che loro hanno bisogno di entrambi.

Ovviamente so bene che ci sono situazioni molto più complesse, nelle quali nonostante tutto è davvero difficile trovare un accordo. Di questo genere di situazione ho esperienza in quanto figlia, e ne porto ancora i segni. Nonostante tutto, però, sono convinta che mia madre abbia fatto la scelta giusta e che se si fosse sacrificata ulteriormente ci avrebbe risparmiato il dolore della rottura ma ci avrebbe obbligate ad assistere al suo declino, il che sarebbe stato molto peggio, e ci avrebbe dato un esempio di arrendevolezza e sottomissione, che probabilmente ci avrebbe influenzata nelle nostre scelte successive.

Edit: Negli ultimi anni questo è diventato uno dei post più letti del mio blog. Ogni volta che guardo le statistiche provo da un lato dispiacere per il numero di persone che si trovano a dover affrontare questa situazione, e dall’altro la conferma che ho fatto bene a raccontare “i fatti miei”, perché probabilmente sarò di aiuto a qualcuno.

Scegliere di separarsi non è una decisione da prendere alla leggera, ma subire e sopportare per paura (di soffrire, di far soffrire, del senso di colpa…) non è una soluzione accettabile. Quando guardo i miei figli penso che, se un giorno si ritrovassero a soffrire come ho sofferto negli ultimi anni del mio matrimonio, vorrei che avessero il coraggio di uscire dalla situazione in cui sono intrappolati, e che dare loro l’esempio era un mio dovere.

Purtroppo il percorso è tutto in salita, e la sofferenza è inevitabile. Ma la sofferenza che deriva da una decisione giusta ha una fine. La sofferenza del non prendere posizione, invece, è infinita.