Separarsi senza odiarsi

Questo blog ha ormai undici anni, e chi ci segue dall’inizio ci conosce come famiglia felice se non addirittura – effetto della distorsione inevitabile quando si osserva una situazione dall’esterno – ideale.

Come tutti purtroppo sappiamo, la perfezione non esiste e, se in quanto famiglia siamo sempre stati estremamente uniti, c’è una cosa che Jean e io abbiamo trascurato fino a renderci conto che era ormai troppo tardi: la coppia.

Tra le persone che ci conoscono “dal vivo”, la domanda “Come fate a stare insieme?” è sempre stata tra le più frequenti. Siamo infatti estremamente diversi, e credo sia stata proprio la possibile complementarità ad attrarci l’uno all’altro. E se negli anni il nostro percorso di genitori è stato caratterizzato da importanti obiettivi comuni, a livello personale abbiamo continuato a seguire strade divergenti, e spesso ci siamo sentiti – nonostante la bella famiglia che abbiamo creato – soli ed incompresi.

Negli ultimi anni la situazione ha iniziato a pesarci ma abbiamo deciso di mettere al primo posto il benessere dei nostri figli. Così io ho optato per la soluzione “tartaruga” (tiro dentro testa e zampe, mi rifugio in me stessa e mi proteggo così) mentre Jean, più orientato verso l’esterno, verso gli amici, lo sport, eccetera, si circondava di distrazioni.

Ci era già successo due volte di parlare di separazione ma la paura, il senso di colpa e il senso del dovere ci impedivano di prendere ciascuno la propria strada. Forse i nostri “problemi” non erano abbastanza gravi, ha suggerito qualcuno. E in effetti no: niente di drammatico, se non la profonda solitudine nel cuore di ciascuno.

Prendere la decisione

Pensando ai miei figli e alla mia volontà di proteggerli, un giorno mi sono chiesta cosa avrei consigliato a uno di loro che si fosse trovato, un giorno, in una situazione simile. Sicuramente non di rimanere imprigionati in una situazione che li rendeva infelici. Mi sono anche ricordata del senso di colpa (retroattivo ma devastante) che ho provato nello scoprire che mia madre aveva sofferto in silenzio per anni, e ho deciso che non volevo questo per i miei ragazzi.

Non solo. È stata proprio mia madre, pensando forse di dissuadermi, a farmi capire che separarsi era la decisione giusta. Mi ha detto: “Pensaci bene. Immagina di vedere Jean con un’altra; di vederlo felice e sorridente… come ti sentiresti?”

La mia risposta è stata “Sollevata”. Perché sapere di essere (seppur involontariamente) responsabile dell’infelicità sentimentale dell’altro è terribile. Vedere il compagno di vita degli ultimi 20 anni, il padre dei miei figli nuovamente felice sarebbe… bellissimo. E chissà, magari a quel tipo di felicità prima o poi avrò accesso anche io.

Vivere vuol dire imparare a deludere

Ho letto questa frase, se ben ricordo scritta da suo padre, sul Facebook di Enrica Tesio. È stata come una bella sberla, di quelle che ti danno per svegliarti quando perdi conoscenza. Nel mio cammino personale sono tanti gli obiettivi che ho raggiunto ma questo… questo proprio no. La parte più difficile della decisione in questione era infatti accettare il fatto che essere sinceri con noi stessi e affrontare apertamente la situazione significasse deludere i nostri figli, provocare loro una sofferenza.

Ed è forse in questo momento che abbiamo avuto la prova del nostro valore in quanto genitori. La reazione dei nostri figli è stata ovviamente di tristezza e di delusione sulle prime, ma nel giro di pochi giorni sono stati in grado di comprendere e di accettare la situazione. Non mi illudo: so che non è finita, che ci aspettano moltissimi alti e bassi, che alla prima occasione ce lo rinfacceranno… ma questo è il loro mestiere. Qualunque scelta facciamo, i nostri figli ce la rinfacceranno. Non per cattiveria o insensibilità, ma perché hanno bisogno di creare la propria scala di valori, e cominciano a farlo distruggendo la nostra.

Separarsi con il cuore

Una cosa buona l’abbiamo fatta, in tutti questi anni: riuscire ad essere una famiglia anche se non eravamo (o non eravamo più) una coppia. Questo ci servirà nei prossimi anni, durante i quali continueremo ad essere famiglia pur avendo accettato e ammesso pubblicamente il naufragio della coppia.

Partendo da questo presupposto, la modalità possibile era una sola: una separazione il più possibile pacifica e indolore. Questo sì, è il momento in cui bisogna mettere da parte il proprio ego e le proprie esigenze per focalizzarsi su quelle dei figli.

Essendo entrambi spiriti nomadi il primo punto importante era: nei prossimi anni non ci si muove. O meglio, ci si può muovere quanto si vuole ma la “base” resta qui. I ragazzi devono poterci avere entrambi a disposizione ogni volta che ne hanno bisogno.

Per quanto riguarda tutte le altre contrattazioni, sono subordinate alla domanda: “Cosa è meglio per i ragazzi?”. E se capita (perché purtroppo capita) di restare impantanati su qualche argomento particolarmente delicato, ci rivolgiamo ad una terza persona neutrale (amici, familiari, avvocato, eccetera…).

Per quanto riguarda l’avvocato, per evitare sanguinose battaglie abbiamo deciso di rivolgerci ad uno solo, che faccia gli interessi di entrambi, e non di prenderne due che si battano per la vittoria dell’uno o dell’altro. La vittoria, per noi, significa riuscire a voltare pagina nel modo più indolore possibile.

Qui in Francia la legislazione impone, al momento delle pratiche, la presenza di due avvocati. Pur sottomettendoci a questa regola, stiamo facendo tutto il lavoro con uno dei due. L’altro non farà che convalidare ciò che abbiamo stabilito insieme.

La lezione di Wondy

Non posso concludere senza citare una persona che, con le sue parole ma soprattutto con il suo esempio, ha dato una svolta alla mia vita. Si tratta Francesca Del Rosso, in arte Wondy, che ho visto qualche anno fa ad un mammacheblog. Francesca era lì per presentare il suo libro “Wondy, ovvero come si diventa supereroi per guarire dal cancro” e stava raccontando la sua reazione dopo la diagnosi:

“Molte persone, quando scoprono di essere malate, buttano all’aria tutto e rivoluzionano la propria vita.

A me la mia vita piaceva così com’era, quindi non ho cambiato nulla“.

Questa frase è stata come una doccia fredda per me. Io, con la mia vita apparentemente perfetta, ero lì in mezzo a quella platea e stavo invidiando quella donna. Lei aveva una malattia che l’avrebbe presto strappata ai suoi cari, ma aveva anche la vita che le piaceva. Una vita in cui non sentiva il bisogno di cambiare nulla. Esiste forse qualcosa di più prezioso?

Ho portato questo insegnamento nel mio cuore negli ultimi anni, ed è stato alla base di ogni mia singola scelta. Quella della separazione è stata l’ultima e la più difficile ma so che se mi restassero pochi mesi da vivere non vorrei viverli come ho vissuto gli ultimi anni. Ok, non vorrei viverli nemmeno come saranno i prossimi mesi, perché probabilmente faranno schifo, ma se non butti giù il muro che ti sbarra la strada non puoi proseguire.

Ora quel muro è crollato e ci sono un po’ di macerie da raccogliere sul ciglio della strada, dopodiché potremo imboccare strade parallele che spero ci porteranno a dire “La mia vita mi piace così com’è”.