Il mantra di Michela

Di cosa sia un mantra e di come utilizzarlo ho già parlato in un articolo di qualche anno fa:

Il mantra è, in molte tradizioni, una formula sacra che viene ripetuta come una sorta di preghiera. Come una scialuppa di salvataggio in mezzo alle onde, ci permette di indirizzare la mente verso un porto sicuro, attraversando le tempeste a cui la vita ci confronta.

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Questa tecnica mi è stata estremamente utile in periodi molto difficili della mia vita, e il mio mantra è cambiato di volta in volta in base alle esigenze del momento. Secondo lo yoga della tradizione, questa “formula magica” funziona a livello sottile, sintonizzandosi con la vibrazione dell’universo. Ma la sua forza sta anche nell’autosuggestione veicolata dalla o dalle parole scelte.

Gandhi diceva che diventiamo ciò su cui meditiamo. Il suo mantra – che, si racconta, continuò a pronunciare fino alla fine, dopo essere stato colpito da una pallottola mortale – era, il nome di un eroe mitologico della tradizione induista (una delle tante incarnazioni del dio Vishnu, per la precisione): Rama, le cui qualità ispirava di incarnare.

Mantra moderni

Se lo guardiamo dal punto di vista dell’autosuggestione, possiamo trasformare in mantra qualsiasi parola o frase ci possa essere utile dandoci ispirazione, coraggio, eccetera.

In passato ho utilizzato spesso questa frase, una delle mie citazioni preferite, tratta da “Open“, come se fosse un mantra:

Le gambe forti obbediscono, le gambe deboli comandano.

Gil Reyes, allenatore ma anche e soprattutto mentore di Andre Agassi, gli disse questa frase durante un torneo importante. Ovviamente la parola “gambe” può essere sostituita con molte altre: cuore, mente, braccia, eccetera.

Ma di recente è stata la nostra amata Michela Murgia a suggerirmi una formula che mi ha consentito di sbloccare una situazione – anzi, direi un vero e proprio modo di vivere – che mi trascinavo dietro da sempre.

In una delle ultime interviste rilasciate, Michela racconta di come la malattia le abbia, tra l’altro, dato il coraggio di chiedere a Vanity fair di commissionarle il lavoro dei suoi sogni: un servizio dall’Orient Express. In fondo cosa aveva da perdere?

“E che mi fanno?”

Dice sorridendo.

Già. Che mi faranno mai? Tutti i libri di crescita personale, di meditazione e di filosofia letti in quasi cinquant’anni riassunti in una brevissima frase.

Sì, certo, lo aveva detto anche tizio, alla pagina x del tal libro: “Qual è la cosa peggiore che potrebbe succedere?” o Caio, nell’articolo sulla rivista y: “Cosa potrebbe andare storto?”, ma queste frasi erano entrate nella mia testa, e nei momenti di crisi la testa va in corto circuito ed è il cuore a prendere il sopravvento. Un po’ come le cose che senti raccontare dagli altri e quelle che vivi in prima persona. Le seconde ti segnano molto di più, e la differenza tra il primo e il secondo caso è l’emozione, che àncora un concetto, una parola, uno stato d’animo, una lezione di vita in maniera profonda, come un discorso o un testo stampato – che parla alla testa – non potrà mai fare.

Con quella frase, con il suo sorriso e con la sua storia, Michela ha toccato il mio cuore, e quindi non mi “dimentico” di questa lezione nel momento del bisogno. Mi ritrovo quasi quotidianamente a chiedere a me stessa: “E che mi fanno?”. Nella maggior parte dei casi la risposta è “niente”. Non possono farmi niente.

Possono togliermi il saluto, mettermi i bastoni tra le ruote, provare a manipolarmi, criticarmi. E allora? Mi sono accorta d’improvviso, come un’istantanea illuminazione, che tutto questo è “niente”. E cose che fino a pochissimo tempo fa mi facevano soffrire, sfumano immediatamente nell’immagine di Michela che dice sorridendo: “E che mi fanno?”.

Questo post è dedicato alla memoria di Laurent, l’indimenticabile maestro Montessori di cui ho parlato tanto su queste pagine, che ci ha lasciati improvvisamente qualche giorno fa.

Nella sua scuola ho scattato le fotografie inserite nei miei due libri dedicati al metodo Montessori.

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