L’ordine di nascita influenza il nostro carattere?

Nei giorni scorsi ho letto un articolo che parlava dell’ordine di nascita e di come questo, secondo Alfred Adler, amico e collega di Sigmund Freud, influenzi la nostra personalità. Secondo lo psichiatra (psicologo e psicanalista) austriaco, il fatto di nascere, primo, secondo, terzo o di essere figlio unico ci predispone ad alcuni tratti caratteristici. Ad esempio:

  • Il primogenito avrà probabilmente un temperamento da leader, tenderà a prendere le decisioni e sarà affidabile.
  • I secondogeniti, invece, si sentono spesso in competizione o comunque a voler imitare il più grande. Per questo sembrano crescere più in fretta. Secondo Adler i secondi sono raramente egoisti e tendono a fissarsi degli obiettivi molto ambiziosi.
  • L’ultimo nato, in genere, viene molto coccolato sia dai genitori che dai fratelli maggiori. Forse per questo, quindi, sarebbe meno indipendente e responsabile rispetto agli altri. L’ultimogenito sarà più socievole ma anche più frivolo rispetto ai fratelli e sorelle più grandi.
  • E che dire del figlio unico? Secondo Adler, tenderà a voler essere al centro dell’attenzione anche al di fuori della famiglia e avrà maggiori difficoltà a socializzare.

La mia opinione

Non parlo da esperta ma da mamma di tre figli e da ciò che ho potuto osservare sia nella mia famiglia che in quelle che conosco e frequento regolarmente. Secondo me, così come il nome, anche l’ordine di nascita influenza la nostra vita. Sapendo che sto generalizzando e che quindi questo discorso avrà mille eccezioni, questo è ciò che emerso dalle mie personalissime osservazioni:

Spesso i primi figli sono quelli più “seri”, più affidabili, come dice Adler. A volte (e parlo da primogenita) diventano addirittura rompiscatole con i fratelli più piccoli e di fronte alle difficoltà possono assumere un ruolo di stampo materno o paterno addirittura con i genitori, cercando di proteggerli da ulteriori problemi. Questo loro preoccuparsi per gli altri può portarli a non vivere pienamente la propria vita. A mio figlio Leonardo cerco di far capire che ha il diritto di pensare a sé e che, se è giusto e positivo voler proteggere le sue sorelle, non è responsabile dei quai che queste combinano.

I secondi sono spesso dei ribelli. Devono competere con il primogenito-perfettino per l’attenzione dei genitori e, non potendolo battere sulla sua specialità (la perfezione di cui loro lo vedono impregnato) cercano di farsi notare combinandone di tutti i colori. Di solito funziona. Quando il secondo figlio non è l’ultimo ma ha un fratello o una sorella più piccolo, la sua diventa una posizione scomoda. Per quanto scalpiti, si sentirà sempre meno considerato rispetto al grande – che taglia per primo tutti i traguardi – e al piccolo, che è sempre il più tenero e il più carino. Imparerà quindi a prendersi da solo quello che vuole e diventerà estremamente indipendente. A Gloria, la mia secondogenita, cerco di dedicare del tempo esclusivo, in modo da farle sentire quanto sia importante per me.

Il terzo (o l’ultimo, in caso di famiglie più numerose) è il principino. Coccolato da tutti, invidiato – eppure amato – dai fratelli più grandi. Dovrà lottare meno per ottenere ciò che vuole perché tutte le battaglie saranno già state combattute per lui, e crescerà più libero perché i genitori, ormai esperti, saranno con lui più rilassati. Avendo una vita relativamente facile in famiglia, potrebbe diventare molto esigente con le persone che gli staranno attorno più tardi. A mia figlia Chiara cerco di far capire che il fatto di avere due belle guanciotte da mordere non significa che tutti faranno sempre quello che vuole lei.

Di figli unici non ho esperienza ma so che la maggior parte di chi lo è vorrebbe avere dei fratelli e delle sorelle, mentre il sogno segreto di chi ne ha è avere i genitori (e il televisore, e pacco di popcorn…) tutti per sé. Conosco famiglie numerose e affiatate e altre con fratelli e sorelle che non si rivolgono la parola. Conosco figli unici cresciuti in un clima idilliaco con genitori e nonni ad occuparsi di loro e altri che hanno sofferto la solitudine. Purtroppo (o per fortuna?) non esistono regole e ciascuno affronta l’avventura della vita in modo diverso. Se avessi un figlio unico cercherei di fargli capire (senza dirglielo, perché a parole non funziona) quanto è fortunato ad avere due genitori a disposizione.

La tua opinione

Cosa ne pensi? Hai fratelli e sorelle, oppure hai dei figli? Hai notato delle similitudini con ciò che descrive Adler o con le mie osservazioni?