Un Nuovo Ciclo

Orto

Quando, nel 2010, ho annunciato qui sul blog che stavamo per trasferirci nel sud della Francia qualcuno mi ha chiesto, in un commento, se il blog avrebbe cambiato nome. Ovviamente ho risposto di no, e a dire il vero non avevo capito la domanda.

Cinque anni dopo mi rendo conto che questo trasloco ha cambiato molte cose. Nel lasciare Torino per trasferirci tra le montagne dell’Alta Savoia cercavo una svolta soprattutto materiale: vita sana, facce nuove, la scoperta di un mondo – quello naturale – a me praticamente sconosciuto, che scoprivo quotidianamente insieme ai miei figli. È stato meraviglioso, e in quegli anni ho riscattato un po’ della spensieratezza che non avevo mai avuto da bambina.

Poi, un bel giorno, mio marito ha perso il lavoro. Nel frattempo, il nostro padrone di casa diventava sempre più invadente e rompiscatole. Da nomadi ormai rodati ci siamo guardati negli occhi e ci siamo capiti: era ora di cambiare aria. Ma non era più una fuga. Era la fine di un ciclo. Come quando si viene mollati e ci si trova un fidanzato “cuscinetto”. Una volta guarite le ferite di solito il poveretto non ci interessa più. Gli anni trascorsi ad Annecy sono stati degli anni “cuscinetto”. Forse i più importanti della nostra vita. In quegli anni ho capito chi ero e dove volevo andare, e la lontananza dalla mia famiglia d’origine e dalla sua ala protettiva mi ha permesso di mettermi maggiormente in gioco.

Le basi erano ancora estremamente fragili quando siamo arrivati qui, e il lavoro era diverso. Era un lavoro interiore. Era ora di lasciar germogliare quello che avevamo seminato. E in effetti sì, ad un certo punto, ho avuto voglia di cambiare nome al blog. Non mi riconoscevo più nel motto che campeggiava in home page:

Questa è la storia della nostra fuga dalla città.

La storia di una famiglia in cerca della felicità.

Non c’era più una città da cui fuggire, e la felicità era lì, a portata di mano. Ogni giorno, anche quando Jean è rimasto senza lavoro. Anche quando c’erano più difficoltà che soddisfazioni. La felicità era un lavoro interiore.

Orto 3

Qualcuno me l’aveva anche scritto, ai tempi: «Non serve fuggire se il tuo malessere ce l’hai dentro». Ma questa non era una fuga. Era come il germoglio che sbuca fuori dalla terra. Annecy è stata la terra che ci ha accolti e protetti. Qui, al sole del sud, siamo finalmente sbocciati.

Tanti giri di parole per dire che, dopo un primo anno poco produttivo dal punto di vista agricolo, se così lo possiamo definire, e dopo parecchie stagioni trascorse ad osservare timidamente questa terra secca e arida, quest’anno abbiamo deciso di tornare a coltivare l’orto come lo facevamo lassù, dove il clima era fresco e non c’era nemmeno bisogno di innaffiare.

Per rimediare alla scarsità d’acqua tipica invece di queste parti, abbiamo utilizzato dei teli pacciamanti. Esteticamente non è il massimo ma ci è sembrata la soluzione migliore. I bambini (o forse dovrei dire “i ragazzi”) sono ormai grandi e hanno partecipato attivamente sia alla preparazione del terreno che alla scelta e alla disposizione delle piante.

Dopo aver visto una bellissima immagine tra le slide di Elena Balsamo a Chiari volevo fare un orto a forma di Mandala, ma Gloria ha insistito per il tao, che insieme a Leo ha disegnato a terra con delle pietre.

Orto 2

Leonardo, con i suoi muscoli da judoka, ha scavato il terreno nel quale Chiara, con le sue manine, disponeva le piccole piante. È stato bello vederli al lavoro. Concentrati, appassionati, determinati. Vederli prendersi cura e assumersi la responsabilità di ogni centimetro di terra, di ogni singolo germoglio. Vederli trasportare le pietre con fatica, ma con lo sguardo pieno di gioia.

Ecco. Mi sembra che siamo pronti per un nuovo ciclo. Una fase nella quale, più che mai, la vita di famiglia è scambio alla pari; in cui il lavoro è cooperativo e le soddisfazioni sono condivise. Mi mancano già i miei bambini; e al tempo stesso non vedo l’ora di conoscere gli adulti che saranno.

 
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