Una serata al Publicans

Senza sapere che fosse ambientato a New York, ho letto “Il bar delle grandi speranze” poco prima di visitare questa città. Il libro mi ha letteralmente catapultata nell’atmosfera del Publicans, il bar nel quale gran parte della storia è ambientata.

Ho subito aggiunto questo luogo alla lista dei posti che desideravo visitare una volta arrivata. A dire il vero l’ho messo addirittura in cima alla lista. Arrivata a NY con mia mamma, dopo un viaggio estenuante e dopo esser state truffate da uno pseudo-tassista (se vai a NY sappi che la tariffa da JFK a Manhattan è fissa: attualmente 52$ + 6 di pedaggio) ho scoperto che Manhasset era un po’ fuori mano.

Così quando abbiamo visitato Williamsburgh, il quartiere hipster di Brooklyn, che era tra le nostre mete il meno distante, ho proposto di andare a cena a Manhasset. Le opzioni erano due: tre treni (no, non è uno scioglilingua!) intervallati da vari pezzi a piedi oppure un taxi. Le ho spiegato che il posto era lontano e che quindi il taxi sarebbe costato caro ma lei, che già non gioiva all’idea di dover percorrere oltre 30 km per un hamburger e una birra, ha optato per quest’ultimo.

Ne abbiamo fermato uno per strada e lui ci ha accompagnate. Arrivate davanti al mitico Publicans dopo una corsa di 40 minuti (e 50 dollari), ho iniziato a sospettare che sarebbe stato difficile trovare un taxi che ci riportasse indietro. Il tassista ha confermato, consigliandoci di chiamare un Uber.

Per motivi che non starò qui a spiegare ora non amo Uber, e comunque non ero certa che in quel posto sperduto avrei trovato un’auto. Così gli abbiamo chiesto quanto ci sarebbe costato chiedergli di aspettarci. Ha risposto che se non ne avevamo per molto ci avrebbe aspettate. In fondo doveva rientrare e tanto valeva esser pagato per farlo. Così gli abbiamo offerto da bere (è stato ragionevole e ha preso una coca cola) ma non ha osato accettare la proposta di cenare con noi. Siccome ci ha detto che il suo turno era finito e che sarebbe rientrato a casa dopo la nostra corsa di ritorno, ci siamo sentite un po’ in colpa e abbiamo cenato il più in fretta possibile.

L’hamburger del Manhasset vale una corsa di 30 km (forse non i 100$ di taxi più la mancia, ma visto l’aspetto sentimentale per me ne è valsa la pena). Sul bancone del bar delle targhette contrassegnano i posti che occupavano abitualmente i vari protagonisti del libro, tutti realmente esistiti, molti ancora esistenti.

Questa tappa del nostro viaggio è stata per me una delle più emozionanti e anche mia mamma, che inizialmente non ne era particolarmente entusiasta, si è lasciata contagiare. Se non hai ancora letto il libro ti consiglio di farlo subito, dopodiché non potrai andare al Publicans quando visiterai New York.