La felicità non sta mai ferma

Questo libro ha fatto breccia nel mio cuore, principalmente per due motivi:

Innanzitutto per l’omonimia del protagonista con mio figlio Leonardo, oggi quattordicenne. Ma soprattutto perché, proprio con lui, ho avuto un’esperienza simile e mi sono identificata nella mamma, Chiara.

«Leo si è annunciato che ancora era nella pancia: con qualche calcio ben assestato staccò la cartilagine di una costola a Chiara. E quando è uscito dalla pancia è stato subito un bambino ribelle, che non stava fermo un attimo, che non ubbidiva come gli altri bambini, che aveva reazioni imprevedibili e violente. Ma era anche un bambino dolce, intelligente, capace di dare e ricevere affetto. Come mai Leo non si calmava, come tutti (nonni, pediatri, maestre d’asilo) assicuravano che avrebbe fatto, col tempo?»

Come il piccolo protagonista, Leonardo era un bambino più che vivace. A due mesi rotolava pericolosamente fuori dalla palestrina, a quattro gattonava, a 1 anno è saltato fuori da quella terribile prigione che era per lui il lettino a sbarre, atterrando – ovviamente – di testa.

Notti insonni, denti rotti, mamme terrorizzate che al parco giochi dicevano ai loro figli “Non fare come lui!” quando lo vedevano saltare da altezze improbabili. Ricordo ancora una cena a casa di amici. La padrona di casa gli ha messo davanti un piatto e io le ho chiesto: “Non ne hai uno di plas…”

Prima che potessi finire la frase Leonardo aveva afferrato il piatto e lo aveva lanciato attraverso il soggiorno come se fosse un freesbee. In queste situazioni ci si sente davvero inateguati: guardavo il figlio della mia amica, coetaneo di Leo, seduto tranquillamente a tavola, e mi chiedevo “Perché a me?”.

Ma il “Perché a me?” più sofferto lo esclamavo alle 4 e mezza del mattino quando Leonardo, le cui batterie si ricaricavano ad una velocità incredibile, si svegliava e aveva voglia di giocare.

“Non esistono bambini insonni” diceva il medico. E in effetti, dopo aver scongiurato tutti i possibili disturbi, abbiamo dovuto arrenderci al fatto che semplicemente… non aveva più sonno. La sua vitalità era meravigliosa da osservare ma al tempo stesso estremamente faticosa da gestire.

Proprio in quegli anni si iniziava a parlare di iperattività, ma i medici che hanno visto Leonardo mi hanno detto che era semplicemente un bambino “molto, molto vivace”.

Con il passare degli anni ho imparato ad affrontare lo sguardo degli altri, e ad apprezzare i lati positivi del carattere di mio figlio: una creatività fuori dal comune, una socievolezza che conquistava chiunque lo incontrasse e un’audacia che in molte occasioni mi è servita come esempio.

Nel sentir parlare Leo, il protagonista de La felicità non sta mai ferma mi ha molto colpita la sua affermazione sul fatto che, lui spera, questo libro aiuterà gli altri a capire “Come trattare le persone come me”. Perché non è facile essere empatici quando non si capisce chi si ha davanti. La tentazione di giudicare, di sentirsi “genitori migliori” perché si hanno figli più tranquilli e composti è forte.

Quando il figlio difficile è il tuo ti senti inadeguato, ti senti in colpa, ti chiedi dove hai sbagliato, ti chiedi “Perché a me?”. Ma se trovi la forza di accettarlo così com’è, di amarlo incondizionatamente, creerai con lui un rapporto speciale e ti accorgerai di avere accanto una persona speciale, capace di ripagare con gli interessi tutti i guai che ti ha fatto passare.

Questo libro è una lettura utile in entrambi i casi, e apre una finestra su un universo ancora poco conosciuto: se è vero che sentiamo molto parlare di disturbi dell’attenzione, non tutti abbiamo la… “fortuna” di conoscerli da vicino.

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