Insieme

Quando ero incinta di Leonardo lavoravo nel principato di Monaco, al ventesimo piano di un grattacielo con vista mare. Il palazzo aveva anche una piscina alla quale tutti noi potevamo accedere, ma pochi metri più in là c’era anche il mare. Da Torinese che fino a quel momento lo aveva visto solo una volta l’anno, era quest’ultimo ad attrarmi profondamente. Ancora oggi non c’è piscina che regga il confronto.

Mentre mangiavo il mio panino sulla spiaggia ripetevo a me stessa quanto fossi fortunata. Chiudevo gli occhi e ascoltavo il rumore delle onde, in uno stato che all’epoca non avrei saputo definire ma che oggi chiamerei piena presenza mentale.

Poi è arrivato lui e, due mesi dopo, al momento di tornare al lavoro, non me la sono sentita. Per mesi sono rimasta a casa con quel fagottino urlante. Poi i mesi sono diventati anni e i fagottini urlanti sono diventati tre.

Per sfuggire alla solitudine ho voluto tornare a vivere a Torino, ma mi sono portata dietro anche il mio malessere. Credendo di potergli far perdere le mie tracce sono approdata ad Annecy, finché il pellegrinaggio alla ricerca di me stessa non mi ha portata di nuovo vicino al mare.

Ed eccoci qui, quattordici anni dopo, in pausa pranzo sulla spiaggia. Un panino al volo tra due lezioni. Di yoga per me, di musica e chimica per lui.

Quando era piccolo e non faceva che piangere tutti mi rassicuravano dicendomi: «Vedrai, passa in fretta». Invece di rassicurarmi, queste parole mi angosciavano: io NON volevo che passasse in fretta! Volevo fermare il tempo e tenere per sempre tra le braccia il mio bambino.

Ora che a portarmi in braccio è lui, ora che so quanto il tempo che ci è dato di trascorrere insieme passi davvero veloce, ora so che fermarlo non è possibile: sono io a dovermi fermare, per godere appieno dei momenti piacevoli come questi e di altri più difficili ma altrettanto preziosi.