Cogli l’attimo

cogli l'attimo
Non amo particolarmente Osho. E non perché se ne andasse in giro in Jaguar, cosa che non contrasta in alcun modo con i suoi insegnamenti. Ciò che mi disturba è il suo tono, il suo modo di parlare. Ho letto alcuni suoi libri negli anni passati, ci ho trovato dentro delle cose interessanti ma nessuno ha veramente lasciato il segno. Poi un paio di settimane fa alla Feltrinelli di Torino, magia del marketing, questo titolo ha attirato la mia attenzione. L’ho quindi acquistato e ho iniziato a leggerlo con grande curiosità.

I primi capitoli non mi hanno entusiasmata ma – chissà perché – ho deciso di proseguire la lettura. E ho fatto bene, perché dopo una prima parte che ho trovato un po’ noiosa, tra autocelebrazioni e critiche a mio avviso superflue, ho trovato parole che mi hanno toccata profondamente.

Questa parte parla delle emozioni, e del fatto che queste vengono sempre da noi. La persona che ci sta di fronte non è mai responsabile di quello che proviamo. Quello che proviamo viene da noi. Questo concetto è perfettamente logico e credo che ci trovi – più o meno – tutti d’accordo.

L’autore però sviscera la questione paragonando l’oggetto del nostro (odio? amore? invidia? ammirazione?) ad uno schermo sul quale proiettiamo i nostri sentimenti, poi – metafora riuscitissima – ad un pozzo:

«Se getti un secchio in un pozzo asciutto, non tirerai fuori niente. Da un pozzo pieno d’acqua estrarrai dell’acqua. Ma l’acqua proviene dal pozzo. Il secchio aiuta soltanto a tirarla fuori. Ebbene, chi ti sta insultando sta semplicemente gettando un secchio dentro di te; a quel punto ne uscirà ricolmo di rabbia di odio, o della lava che ribolliva dentro di te». Se in te c’è solo amore e compassione, usciranno amore e compassione. Se qualcuno può tirar fuori da te della rabbia significa che ne avevi nel tuo cuore.

Osho si spinge addirittura oltre, esortandoci a ringraziare chi, gettandoci quel secchio, ci ha permesso di diventare consapevoli della nostra rabbia.

Non credo di essere pronta per questa seconda fase, ma lo sono senz’altro per la prima: fermarsi ed osservare la propria rabbia (la propria tristezza, o qualunque altro sentimento). Concentrarsi su se stessi e non sull’altro per capire l’origine e la natura di questi sentimenti.

Lo stesso discorso vale per l’amore. Se l’amore venisse dall’altro e dalla sua “amabilità”, ci sarebbero persone amate da tutti e altre non amate da nessuno. Invece ciascuno di noi proietta il proprio amore sugli altri, indipendentemente dalle loro qualità. Chi non ama nessuno non è circondato da persone poco amabili: è semplicemente incapace di amare. Nel suo pozzo non c’è amore.

Ma anche un pozzo prosciugato può tornare a riempirsi. Il segreto è la consapevolezza. La consapevolezza, la “piena coscienza”, come la chiamano i francesi, o la “mindfulness”, come l’ha ribattezzata Jon Kabat-Zinn, è la chiave.

Se ci fermiamo un attimo, se smettiamo di attribuire colpe e/o meriti a persone o circostanze esterne, se ci apriamo alla vita ci riempiremo di compassione, e dalla compassione non può che scaturire amore.

«La compassione è l’altra faccia della consapevolezza, la faccia esterna della consapevolezza. La consapevolezza è la vostra interiorità, la vostra soggettività. La compassione è il vostro rapporto con gli altri, la vostra condivisione con gli altri».

Questo è solo un passo del libro, che da qui in poi ho riempito di orecchie e di sottolineature. Un libro che consiglio di cuore a tutti; specialmente a chi non crede più nell’amore.