Un Altro Giro di Giostra

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Questo non è uno di quei libri acquistati compulsivamente su Amazon. Questo libro mi ha chiamata. Dagli scaffali dell’aeroporto di Catania, mentre aspettavo il volo di ritorno. Con un bagaglio a mano pieno fino all’orlo, che idea intelligente quella di comprarsi un «mattone» di 600 pagine. Ma avevo finito il libro che mi ero portata dietro, e mi aspettavano due ore di volo più due di scalo a Roma. E poi, lui, mi chiamava.

Dopo una rapida occhiata, ho creduto di acquistare un libro sul cancro.  Mi aspettavo drammi, sofferenze, ospedali e tutto il resto. Nelle prime pagine, le premesse c’erano tutte. Proseguendo la lettura, però, il cancro non è più il tema centrale ma diventa un punto di partenza, in un certo senso una scusa, un’opportunità per intraprendere un viaggio interiore. Il seguito perfetto per la Bhagavad-Gita che mi ero portata in Sicilia e che, curiosamente, viene citata più volte nel testo.

Un viaggio interiore ma anche una sorta di pellegrinaggio tra New York, India, Thailandia, Hong Kong e l’Himalaya durante il quale l’autore raggiunge una sempre maggiore consapevolezza, fino ad arrivare a «far pace» con la malattia. Un «Viaggio della speranza» che diventa viaggio di accettazione. Un giro intorno al mondo durante il quale Terzani si rende conto che ciò che cercava è all’interno di sé. Un viaggio attraverso luoghi e culture, durante il quale sperimenta lo yoga, la meditazione, le cure alternative. Tutte queste esperienze vengono descritte nel libro con grande lucidità, oscillando tra lo scetticismo e la speranza di trovare una cura.

Ma una cura per cosa? «Perché a pensarci bene, dopo un po’ il viaggio non era più in cerca di una cura per il mio cancro, ma per quella malattia che è di tutti: la mortalità».

Un libro meraviglioso che offre innumerevoli spunti di riflessione. Un racconto che aiuta a relativizzare i piccoli, grandi drammi delle nostre vite.

«Mi è capitato tra le mani nel momento giusto» dicevo mentre lo leggevo e mi ci aggrappavo per attraversare un momento difficile. Non sapevo ancora che, pochi giorni dopo, avrei dovuto spiegare la morte ai miei figli, accogliere il loro dolore, asciugare le loro lacrime, aiutarli ad accettare il fatto che «la vita e la morte sono due aspetti della stessa cosa», come dice Terzani nella sovracoperta.

Un libro che mi ha «chiamata» perché avevo bisogno di lui.

Dopo averlo letto, ho visto anche questa meravigliosa intervista nella quale Terzani appare assolutamente sereno e pronto a lasciare questa terra, e ancora carico di quella simpatia che non l’ha lasciato fino all’ultimo. Attenzione, dura un’oretta ma se non l’avete ancora vista ritagliatevi un po’ di tempo per farlo: una vera iniezione di serenità e persino di allegria. E chi non ne ha bisogno, di questi tempi?

«Questo è davvero qualcosa su cui in Occidente dovremmo riflettere di più. Il nostro concetto di morte è sbagliato. Leghiamo troppo la morte alla paura, al dolore, alla tenebra, al nero: esattamente il contrario di quello che succede nella natura in cui il sole muore ogni giorno in una gioiosa esplosione di luci, in cui le piante d’autunno muoiono al meglio di sé, con una grandiosa esuberanza di colori. […] Dovremmo, alla maniera dei tibetani, considerare la morte come l’altra faccia della nascita, come una porta che, vista da una parte è l’ingresso, dall’altra è l’uscita.»