Die-ci

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Sì, die-ci. Fatemelo dire così. Lentamente. Che mi ci devo ancora abituare. Che il mio bimbo dai capelli arancioni (ci teneva tantissimo a precisarlo, da piccolino, quando gli dicevano «che bei capelli ROSSI!») oggi ha dieci anni. Die-ci.

Che si è fatto la torta da solo, ha preparato gli inviti e ha organizzato tutto per filo e per segno.

Quel due luglio di dieci anni fa si realizzava il mio desiderio più grande: diventare mamma. Sono arrivata in sala parto tranquilla e serena. Sono sempre stata così, io. Mi agito per le cose piccole ma nei momenti davvero importanti sono perfettamente lucida e tranquilla.

Contrariamente alle mie aspettative, è stato un parto difficile, con complicazioni. Ancora oggi mi vengono i brividi al pensiero di come sarebbe potuta andare a finire.

Ma è andata a finire così. Con un bambino sorprendentemente e meravigliosamente rosso (o meglio, arancione), tra gli sguardi stupiti del personale medico, ma anche di amici e parenti. Uno splendido fagottino di poco più di tre chili.

Leonardo aveva sofferto e anche io ho avuto complicazioni post-parto. Mi è quindi stato «strappato» per molte ore, dopo la prima poppata. Forse per questo abbiamo avuto grandi difficoltà, dopo, a separarci l’uno dall’altra, anche solo per qualche minuto.

Questa simbiosi è durata a lungo. Solo quest’anno siamo riusciti, sia l’uno che l’altra, a separarci tranquillamente. La partenza per il Camerun è stata per me una vera svolta, e probabilmente anche per lui. Non ero mai stata lontana dai bambini per più di un paio di giorni, e nemmeno Leo aveva mai voluto stare più di tanto fuori casa, nemmeno con amici e parenti. Non aveva mai trascorso una notte fuori casa.

Una volta «rotto il ghiaccio» abbiamo imparato entrambi a godere di questa nostra nuova libertà. Io sono ormai una mamma «on the road» e lui un piccolo vagabondo.

Ma quando parto mi infila sempre in tasca un bigliettino pieno d’amore. Mentre, a Milano, aspettavo il via per «We own the night» ho ricevuto un MMS con una foto in cui Leo, insieme alle sue sorelle, stringeva un cartello: «Forza mamma, sei la più forte».

Quando vado a correre in mezzo alle vigne, Leo mi accompagna in bici. Poi mi fa vedere i muscoli e mi chiede se sono cresciuti.

Se il secondo figlio, né «grande» né «piccolo», è quello che passa spesso inosservato e il terzo quello per cui non si fa nemmeno più l’album delle foto, anche il ruolo di primogenito ha i suoi contro: il primo figlio è la nostra palestra. È lui che ci insegna ad essere genitori. È lui che paga maggiormente il prezzo della nostra inesperienza.

Ma è anche lui che, al termine di ogni giornata, ci guarda con un sorriso e ci ama incondizionatamente. Nonostante la nostra estrema incompetenza.